Quindici anni fa Eugenio Cioffi era un medico di belle speranze, l’oncologia nel suo futuro e una tesi sul traguardo. Un contratto ambizioso da firmare a Berlino fu l’invito più seducente a prendere il largo. Ma al bivio cruciale della vita, Eugenio sterzò, ripiegò la tesi di laurea nel cassetto. E tornò a casa. Oggi ha 51 anni e un sogno realizzato. Ha raccolto nelle sue mani ogni palmo della terra di famiglia, quasi 300 anni di storia dal 1746 in località Oliveto, tra Morigerati e Santa Marina. E l’ha trasformata in oro. Meglio, in fichi bianchi del Cilento, olio e un’azienda biologica, “Murikè”, che ha dato il nome all’agriturismo adagiato nella valle del Bussento: «Mi finanziarono un progetto agricolo, sono stato uno dei primi a impiantare i ficheti quando da noi non esisteva massa critica di prodotto, oggi curo 10 ettari di ficheto, 4 mila piante di fico iscritte alla dop, 6-7 ettari di oliveto, 2 ettari di noceto». Nel Consorzio di tutela del fico bianco del Cilento, legato a Coldiretti, dalle sue mani è nato un laboratorio che trasforma i fichi e sforna marmellate e sciroppati: «Dal prossimo anno completeremo la filiera e prepareremo anche una grappa di fichi. L’idea - racconta Cioffi - è di dare un’impronta di modernità in una zona povera in un Comune di 750 abitanti, utilizzando strumenti moderni per misurare il ph del prodotto e il grado di zuccheri». La produzione viaggia tra 5-10 mila confetture di marmellate e mille barattoli di sciroppati, «Ma siamo all’inizio, riuscirò a produrre 20 tonnellate di fico fresco da trasformare - assicura -. Con me lavorano dalle 4 alle 6 persone l’anno, compresa la cuoca. Mia moglie siciliana, ingegnere che lavora a Milano, torna nei week end e d’estate a dare una mano. E con lei tutta la sua famiglia, come una vera impresa familiare. Papà era agronomo, è stato presidente della nostra comunità montana e si occupava di politica per il Bussento. Fino all’89. Se ne andò tropo presto, dieci anni fa ho perso anche mia madre. Ho rinunciato all’eredità immobiliare per dedicarmi alla terra, anche per evitare che andasse venduta». Sulle orme del padre spunta il laboratorio, le macchine artigianali, le conserve. Nasce il prodotto legato al territorio: «Tutto questo ci è costato un milione di euro, solo per metà aiutato dallo Stato. Sto ancora finendo di pagare i mutui. Mio padre Vito ci teneva, oggi ne sarebbe fiero».
Ferruccio Fabrizio